07 aprile 2010

Intervista a Dino Valls*







Nostro Signore DINO VALLS

La calligrafia ortopedica dell’inconscio.



-Non dipingi mai a partire da soggetti dal vero, puoi raccontarci come si coagulano le imagini e i simboli nella tua mente e poi sulla tela?
Non sono un pittore realista. Spesso, l'idea iniziale sorge in modo molto impreciso, come una sensazione, un paradosso visivo, un concetto a volte astratto che si carica di una speciale energia inconscia. Percepisco questa forte carica psichica di significati profondi, nonostante sia incapace di comprenderla razionalmente.

-Sono sensazioni e concetti che nascono nello stato di veglia o anche in quello onirico?
Qualche volta l'idea iniziale ha origine da un sogno, ma non è la norma. Dall'idea comincia un processo di "ossessione" che nasce da quel soggetto, da quell'immagine, da quel primo bozzetto che trascrivo su un foglio di carta. Durante questo processo, che può durare settimane, realizzo decine di prove in cui va componendosi in forma figurativa uno scenario visivo con dei personaggi, intorno al quale quella prima "irrealità" interiore diventa concreta, si "realizza" in una composizione verosimile.
A parte l'aspetto "reale" che l'idea va acquistando, essa si arricchisce anche grazie a un lavoro di intellettualizzazione nel quale si mescolano, elaborano e approfondiscono altri elementi coscienti, culturali e razionali che, in questo processo di resa del tema in forma sensibile, percepisco come appartenenti al contenuto inconscio iniziale e capaci di arricchirlo. Alla fine ottengo un bozzetto finale con l'idea praticamente definita, quindi preparo la tavola o il supporto corrispondente e comincio la fase di pittura, sempre come un lavoro di immaginazione, perché non utilizzo modelli dalla vita reale, ma idealizzazioni, tanto dei personaggi quanto dello scenario.


-Uno spazio e un tempo totalmente immaginari eppure assolutamente concreti...
Mi servo della memoreia visiva, dell'intuizione, sempre senza dipendere dalla "realtà" física. Le figure devono restare cariche del loro contenuto inconscio, cosa che sarebbe molto difficile se lavorassi a partire da modelli reali.


-L'arte è anche un processo magico? Appaga desideri o ne crea di nuovi?
Considero l'arte come un processo mistico, simile a quelli che durante la storia dell'umanità sono stati sviluppati attraverso l'alchimia, la cabala, il simbolismo medievale, la magia, la mistica orientale e qualsiasi religione o rito pagano, attraverso ogni tipo di processo fisico e materiale che gli uomini hanno elaborato per proiettarvi i propri contenuti inconsci e irrazionali, le proprie paure, i propri archetipi, le proprie domande.
Credo che la mia pittura, come tutte queste pratiche, trasformi l'interiorità, tanto quella dell'artefice, che sono io, tanto quella dello spettatore che proietta nei miei quadri il proprio inconscio come in un test di Rorschach, come se questi fossero uno specchio del nostro sistema limbico.


-I tuoi dipinti non sono mai allegorici, hanno la densità e l'apertura di senso del simbolo. Nei titoli offri spesso dei riferimenti culturali molto precisi, che però finiscono per aprire ulteriormente i significati anziché chiuderli...
Sono immagini che racchiudono un contenuto che viene percepito come simbolico, anche se non funzionano come un codice che bisogna decifrare. Vogliono costruire nuovi elementi con la stessa carica di energia che possiedono i simboli. Però non spiegano, non illuminano, bensì vogliono apportare oscurità, precisamente la porta che ci introduce alla nostra ombra (e a quella collettiva).


-Ci sono testi o esperienze che ti hanno influenzato in maniera particolare?
Credo che l'influenza più evidente sia quella di Jung e dello studio di quelle dinamiche di proiezione mistica che ci legano al nostro inconscio.


-Marie-Louise Von Franz, un'allieva di Jung, propone il concetto di "spontaneità controllata". Pensi che possa adattarsi al tuo processo creativo?
Non mi interessa la registrazione diretta senza elaborazione dei sogni e del caso, propria di molti surrealisti. Il mio è un processo in costante tensione nel quale la ragione tende a delirare irrazionalmente e l'inconscio deve itellettualizzarsi tramite la coscienza e la cultura. Bisogna ascoltare la spontaneità dell'inconscio, ma dopo elaborare con l'intelletto. Ogni avvicinamento all'inconscio dev'essere indiretto e mediato dalla civilizzazione. In questo senso, la mia arte è un'applicazione pratica del processo di immaginazione attiva studiato da Jung e Von Franz.


-Ti senti parte di una tradizione spagnola?
Sono erede di una forte tradizione plastica e condivido la visiona tragica della vita tipica degli spagnoli, e di due aragonesi come me, Buñuel e Goya.


-Quanto è importante la scelta di una tecnica pittorica?
La tecnica è importante e metto grande cura nel procedimento, che però rimane sempre secondario rispetto al contenuto concettuale del quadro. La scelta della mia tecnica risale a una personale attrazione per alcuni procedimenti degli antichi maestri, sui loro risultati plastici e cromatici, sulla struttura delle loro opere. E viene anche dalla ricerca di una verosimiglianza figurativa che sfoci nella perversione, nel paradosso, nel conflitto tra il contenuto irrazionale e la realtà apparente.


-Al di là dell'accuratezza delle anatomie, la formazione medica ha influito sulla tua arte?
Tanto la medicina quanto la mia pittura hanno il loro centro nell'essere umano, e di entrambe mi interessa soprattutto l'aspetto psicologico.


-Dipingi corpi sacrificali, sempre giovani, e sembra che a compiere il sacrificio siano tanto le forze della scienza che quelle della religione. Chi sono le vittime e chi i carnefici?
Le figure che dipingo sono incarnazioni del mio inconscio, proiezione della mia anima. Comme uno psicoanalista del cavalletto. Esposte ci sono psicoanalisi da parete, specchi dell'inconscio collettivo. Le scienze e le religioni pretendono di spiegare l'eterna domanda del senso dell'esistenza, la profonda dicotomia tra il materiale e lo spirituale. L'Arte deve unire questa dualità , il suo terreno è lo spazio tra l'uno e l'altro.


-Credo che una della cose che rendono le tue opere tanto coinvolgenti e inquietanti sia lo sguardo che i soggetti rivolgono verso lo spettatore (e, prima ancora, verso di te che li hai dipinti). Si rivolgono direttamente a noi? Implorano aiuto o ci insegnano qualcosa?
Mi guardano perché sono autoritratti, e guardano lo spettatore perché sono specchi. Però, se quando guardiamo uno specchio tra l'occhio che vede e quello che viene guardato è passato un istante, allora quella che guarda no è più la persona riflessa, sta vedendo un istante del suo passato. Voglio che i miei quadri siano come uno specchio abbastanza lontano da poter vedere in esso non la nostra immagine contemporanea, bensì la parte più antica del nostro cervello, le pulsioni e le paure primordiali, il nostro sistema limbico, il nostro cervello di rettile.


-Nel silenzio dei tuoi dipinti il dolore appare come trasfiguto, o trasferito dai corpi a un altrove difficile da definire. Cos'è il dolore nelle tue opere?
È il dolore che ci permette di definire la bellezza. Sono in equilibrio nella congiounzione degli opposti alchemici che dà significato al nostro "tutto" psichico. Eros e Thanatos.


-Dici che ognuno può specchiarsi nei tuoi quadri e trovarci le proprie paure e i propri desideri. Ti interessano le reazioni del pubblico?
I miei quadri mi aiutano a scoprire lati nascosti di me stesso. Lo spettatore deve parlare con se stesso e farsi delle domande. Non sopporto quelli che tentano solo di decifrare codici occulti, leggere messaggi criptici o significati personali del pittore, senza avere il coraggio di affrontare la propria ombra. 






* TRABACCHINI, Alessio: “Nostro signore Dino Valls: La calligrafia ortopédica dell’inconscio”, BangArt núm. 3, Roma, mayo-junio 2009.



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